Itinerari EnogastronomiciLa bagna caoda che conquista i Savoia

La bagna caoda che conquista i Savoia

Dettagli:

Un itinerario di 3-4 giorni seguendo la via delle acciughe, toccando le zone di produzione degli ingredienti fondamentali per la realizzazione di una Bagna Caoda rigorosamente tradizionale: Elva, Dronero, Caraglio, Saluzzo, Savigliano, Bra, Pollenzo, Serralunga d’Alba, Asti, Nizza Monferrato

Distanze da percorrere:

Giorno 1

Km 36 Elva – Dronero 

Km 9 Dronero – Caraglio

Km 30 Caraglio – Saluzzo

Giorno 2

Km 16 Saluzzo – Savigliano

Km 16 Savigliano – Bra

Km 5 Bra – Pollenzo

Giorno 3

Km 18 Pollenzo – Serralunga d’Alba

Km 43 Serralunga d’Alba – Asti

Km 26 Asti – Nizza Monferrato

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    Il re che fece l’Italia giocava a biliardo, fumava il sigaro, era di modi un po’ bruschi e amava la buona tavola. Fu proprio con Vittorio Emanuele II che si affermò, per la prima volta, una lista dei vini in abbinamento ai cibi, che includeva una selezione dei vini rossi locali, come il pregiato Barolo tanto amato dal primo Re d’Italia.

    Le pietanze venivano cucinate talvolta dal cuoco di corte e, più spesso, dalle mani di Rosa Vercellana, Contessa di Mirafiori, prima amante e poi moglie morganatica del sovrano. La tradizione vuole che l’unione fra i due si basasse su motivi sia passionali che gastronomici. Pare che lei fosse una cuoca eccellente e che Vittorio, “pezzo d’uomo amante della caccia, delle belle donne e del cibo” pretendesse da lei una costante attenzione al “regal palato”.

    Fra i suoi piatti preferiti, spicca la bagna caoda (rigorosamente preparata con solo aglio, olio e acciughe).

    La bagna caoda, dunque, non nasce, nei nostri itinerari, direttamente da un ricettario nobiliare ufficiale, ma piuttosto, da una avversione tutta risorgimentale per l’eccessiva forma, dall’amore del Re per le cose semplici e, soprattutto, dalla rivisitazione di una ricetta contadina antica, per mano di un’abile cuoca, che mai fu ufficialmente nobile, ma che sposò ugualmente la più alta carica dello Stato.

    Come sempre, più i piatti sono semplici, più richiedono materia prima di qualità eccelsa. Ed ecco che entrano in gioco gli ingredienti principali: le acciughe, l’aglio e l’olio, e poi la grande quantità di verdure, fresche e fragranti, di cui il Piemonte è riconosciuto produttore, in primis i peperoni e i cardi.

    Questo itinerario racconta, dunque, la storia del nostro piatto regionale più celebre.

    La bagna caoda nasce probabilmente nel Medioevo, quando, grazie agli scambi commerciali fra il basso Piemonte, la Provenza e la Liguria, attraversando le Alpi da una parte e gli Appennini dall’altra, le acciughe iniziarono ad arrivare sul territorio insieme ai carichi di sale.

    Il sale era un bene molto prezioso nelle valli montane, dove mancava totalmente e arrivava poco, a volte con traffici clandestini. Per il suo commercio si pagavano infatti pesanti dazi doganali e, perciò, esisteva un diffuso contrabbando. 

    Le acciughe sotto sale presentavano dunque un duplice vantaggio economico: esse erano vendute ai meno abbienti e usate come condimento, mentre il sale veniva acquistato dalle famiglie più ricche.

    L’acciuga salata era già conosciuta ad Asti in pieno Medioevo Comunale, nel Duecento, col suo nome dialettale arcaico di “inchioda”, tanto da esser usata come premio di consolazione per l’ultimo arrivato del Palio astigiano: l’inchioda con il manigòt, ossia con l’insalata. La “bagna cauda’’ è stata il gran cibo popolare e corale della festa della svinatura, nelle comunità dei vignaioli delle colline piemontesi, sin dal secolo XI.

    “Le vie del sale”, così come sono ancora oggi chiamate, sono rotte commerciali storiche, ancestrali, la cui origine si perde nella notte dei tempi. Esse videro nascere attività e figure lungo il percorso, sia nomadi che stanziali. 

    Gli acciugai sono una di queste e i più famosi, quelli della Val Maira. 

    Gli acciugai (anchoiers in occitano, anciuè in piemontese) erano contadini e pastori di montagna che, a fine estate, terminati i lavori nei campi, scendevano al piano per vendere acciughe e pesce conservato. 

    Compravano la merce in Liguria e in Provenza, ma anche in Spagna (le deliziose acciughe del Mar Cantabrico) e poi, girovagando in tutto il Piemonte, in Lombardia e persino in Veneto ed Emilia, integravano il proprio gruzzolo e supportavano la famiglia. Qualcuno è anche diventato ricco con questi commerci. 

    Così andando, giunsero a mete impensabili, si dice che portarono le acciughe a Ferrara al Cardinal d’Este, a Firenze ai Medici, addirittura a Roma al Papa; Milano fu ricolma di acciughe e lo si vede nella sua gastronomia padana. L’acciugaio divenne, sul mercato, un vero personaggio: tutti riconoscevano in lui l’uomo che aveva molto viaggiato, che sapeva i segreti di Spagna, che parlava con la moglie una lingua diversa (l’occitano), che poteva consigliare quali acciughe usare per l’uno o l’altro scopo.

    Il nostro itinerario, di tre giorni, tocca alcuni dei punti di passaggio dei nostri acciugai, includendo numerose tappe enogastronomiche (e diverse varianti della bagna caoda, che cambiano progressivamente lungo il percorso), modificabili a seconda della stagionalità delle ricette.

    GIORNO 1

    Partendo da Elva, pittoresco paesino della Val Maira, a quota circa 1600, si inizia il tour con una visita alla Chiesa di Santa Maria Assunta, dov’è possibile apprezzare il ciclo di affreschi che si trovano nel presbiterio, in stile tardo gotico-rinascimentale, una delle più rilevanti testimonianze dell’opera di Hans Clemer in Piemonte. Per Raggiungere Elva armatevi di pazienza, la strada di montagna è stretta e da Dronero serve almeno un’ora di viaggio, pertanto se partite il giorno prima potrete pernottare in uno dei piccoli B&B nel completo silenzio delle montagne.

    Scendendo attraverso i paesaggi montani ben conservati della Val Maira, si passa per Dronero, collocata sul suo sperone di roccia, con il ponte del diavolo e la Torrazza, dove si tiene annualmente la storica sagra degli acciugai. Con una piccola deviazione, è possibile apprezzare i famosi “Ciciu di Villar”, area naturalistica unica nel suo genere, sia per le importanti peculiarità geologiche – le caratteristiche colonne di erosione a forma di fungo – che la rendono una rarità, sia per la ricchezza della fauna che è possibile osservare nei pochi ettari destinati a protezione.

    Proseguendo, si approda a Caraglio, dove è altamente consigliata una degustazione di bagna cauda, approfittando del celebre aglio (delicato e speciale) che porta il nome del paese, magari abbinandola al peperone di Carmagnola

    A Caraglio è presente un antico filatoio della seta, perfettamente conservato e visitabile, in cui è possibile ripercorrere l’intera filiera della seta piemontese, dal bozzolo al filo ritorto (organzino) che veniva successivamente venduto in Francia e utilizzato prevalentemente per l’orditura di preziosi tessuti.

    Saluzzo è la tappa successiva, ricca di spunti di visita:

    La Castiglia: il castello di Saluzzo appartenente ai Marchesi che è stato convertito in prigione nel Settecento. 

    La Torre Civica e l’antico palazzo comunale: si trovano lungo la via che conduce al castello, costruiti dal marchese Ludovico I nel 1440-1442.
    Salendo sulla torre, alta 48 metri, si gode di un punto di vista panoramico sul borgo, sulla collina fino alla pianura e le Alpi in lontananza. 

    Il Museo Civico Casa Cavassa: una casa rinascimentale restaurata e riarredata nell’800. Al suo interno si trovano affreschi e dipinti ed anche la famosa opera di Hans Clemer. 

    La Chiesa San Giovanni: si trova nella piazza principale, in pieno centro storico, non lontano da Casa Cavassa. All’esterno spicca il trecentesco campanile romanico.

    La Casa di Silvio Pellico ed il Monumento a Silvio Pellico: Saluzzo è la città natale dello scrittore. 

    Il Giardino Botanico di Villa Bricherasio: uno splendido giardino di circa 12000 mq.

    A Saluzzo è possibile cenare e pernottare, approfittando della ricca offerta enogastronomica.

    Nei dintorni della città, volendosi fermare più a lungo, la ricchezza del panorama artistico e architettonico offre numerosi spunti di visita: dal castello della Manta, all’Abbazia di Staffarda, alla cappella marchionale di Revello, per fare alcuni esempi.

    GIORNO 2

    Preparandosi mentalmente a cambiare paesaggi, il nostro percorso sulle tracce degli acciugai prosegue verso le colline e le pianure. Si inizia da Savigliano, con il suo arco che delimita il centro storico, la Chiesa di Sant’Andrea, il seicentesco Palazzo Taffini d’Acceglio, Santa Maria della Pieve e il Museo Civico.

    La prima cosa poi che colpisce entrando in città è la grande piazza intitolata a Santorre di Santarosa, il rivoluzionario che nacque proprio a Savigliano. Questa bella piazza rettangolare del XII secolo, dove si svolge anche il mercato, accoglie il visitatore in uno spazio scenografico, circondato da palazzi antichi appartenuti alle famiglie nobili della città e da lunghi portici. Lì vicino si trova il Quartiere Ebraico, dove ci fu anche la Sinagoga, testimonianze del tempo in cui la comunità ebraica di Savigliano era una delle più grandi della zona.

    Se ci si ferma fino a ora di pranzo, non da non perdere è l’aperitivo dei Saviglianesi per tradizione, Il Paulin, di cui la storica Pasticceria Scaraffia conserva la ricetta segreta, tra i suoi antichi scaffali.

    Lasciata Savigliano, è la volta di Bra, alle porte del Roero e patria di Slow Food, con le sue chiese barocche e le sue infinite possibilità di degustazione (fra tutte, l’offerta di degustazione di formaggi, da parte di noti affinatori e selezionatori di zona, è unica al mondo). Scesi da lì, si approda a Pollenzo, l’antica Pollentia, che nel 1800 ospitò alcune delle più avanzate sperimentazioni in campo agronomico, grazie alla presenza dell’Agenzia di Pollenzo, voluta dal Re Carlo Alberto, e oggi sede dell’Università di Scienze Gastronomiche. L’esperienza non finisce qui: la Banca del Vino è una visita consigliata.

    Nei dintorni, è possibile cenare, sempre all’insegna dell’alta gastronomia piemontese e assaggiando specialità a base di acciughe, e pernottare.

    GIORNO 3

    La visita a Fontanafredda, presso Serralunga d’Alba, è la prima tappa della giornata: qui è dove La Bela Rosin, moglie morganatica del Re Vittorio Emanuele II, cucinava la bagna caoda ad un Re in versione casalinga.

    Cantina storica e monumentale, Fontanafredda è di per sé un percorso di visita importante, che narra dei Savoia che fecero l’unità d’Italia e dei loro risvolti più “umani”, legati alla vita privata di un re che per natura amava poco le cerimonie di corte, e di una storia d’amore.

    Proseguendo, dopo aver pranzato lungo il percorso, la tappa successiva è Asti, splendida città medievale e larga consumatrice (e codificatrice di ricette) di bagna caoda. Qui, la nostra salsa d’acciughe, diventa quasi una ragione politica. Gli astigiani, fin dai tempi remoti, ne hanno fatto un cavallo di battaglia, abbinandola a verdure fragranti e tipiche, come il peperone quadrato della Motta, o il piccolo peperone di Capriglio, che si conserva d’inverno in damigiana nelle vinacce. Asti merita una visita lunga, ma, nel pomeriggio, ci si può dirigere verso Nizza Monferrato (sulla storica Asti-mare, che interseca un’altra via del sale), per concludere, dopo una passeggiata nella bella cittadina e capoluogo enoico, con un’ultima bagna caoda accompagnata dal cardo gobbo di Nizza Monferrato, presidio Slow Food e storica prelibatezza locale.

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